Le città possono salvare specie dall’estinzione ma non il loro ruolo ecologico
Quando gli habitat naturali vengono trasformati in aree urbane, le reazioni delle specie selvatiche che li abitano sono molteplici. L’urbanizzazione è una delle principali cause di perdita di biodiversità in tutto il mondo, tuttavia vi sono casi di specie che non solo riescono ad adattarsi alla vita in ambienti urbani, ma addirittura prosperano maggiormente di quanto facessero nel loro ambiente naturale.
Alcune città sono state addirittura dichiarate zone di conservazione, tuttavia una ricerca pubblicata a giugno 2018 mostra che, anche se quelle città potrebbero aiutare a preservare popolazioni di specie che sarebbero altrimenti minacciate, non aiutano a preservare il ruolo ecologico di quelle specie.
È molto importante fare questa distinzione poiché uno studio fatto nel 2012 ha stimato un aumento di circa 1,35 miliardi di persone nelle aree urbane mondiali entro il 2030, che a sua volta determinerà l’espansione di queste aree di circa 1,2 milioni di chilometri quadrati, portando quindi a triplicare l’area urbanizzata totale rispetto a quella del 2000.
Tornando quindi alla differenza tra conservazione delle specie e del loro ruolo ecologico: i centri di conservazione urbana possono proteggere popolazioni di specie minacciate, ma ciò non significa che permettono loro di svolgere ancora compiti su cui fanno affidamento gli ecosistemi naturali, come per esempio la dispersione dei semi. “Le città possono costituire rifugi per le specie minacciate e salvarle dall’estinzione, ma le loro funzioni ecologiche in natura potrebbero estinguersi”, ha detto José Tella, professore presso la Stazione Biologica di Doñana a Siviglia, durante un’intervista a Mongabay.
Tella è stato coautore della ricerca pubblicata sulla rivista PeerJ nel 2018 che abbiamo citato sopra, nella quale vengono mostrati i risultati di due casi studio di specie di pappagalli minacciate a livello mondiale che si trovano nella Repubblica Dominicana: l’amazzone di Hispaniola (Amazona ventralis) e il parrocchetto di Hispaniola (Psittacara chloropterus).
Álvaro Luna, anch’egli ricercatore della Stazione Biologica di Doñana, ha guidato il gruppo di ricerca che ha effettuato un rilevamento su larga scala nel 2017 in tutta la Repubblica Dominicana, con lo scopo di stimare l’abbondanza relativa degli uccelli in tre diversi tipi di habitat: habitat naturali, habitat rurali e aree urbane. I ricercatori hanno condotto interviste informali con gli abitanti locali per raccogliere informazioni su come gli umani abbiano avuto un impatto sulle popolazioni di pappagalli nel passato e nel presente. “Abbiamo anche cercato dei pappagalli impegnati a foraggiare per valutare il loro potenziale ruolo di dispersori di semi, una funzione ecologica che è stata trascurata fino a tempi molto recenti”, scrivono Luna e coautori sul giornale.
Il team ha scoperto che vi era un numero “trascurabile” di amazzoni e di parrocchetti presenti nelle zone rurali e che la quantità di esemplari nelle popolazioni di entrambe le specie era “molto bassa” nei rimanenti habitat naturali nella Repubblica Dominicana. “Erano generalmente tra uno e due ordini di grandezza inferiori a quelli delle specie congeneriche che abitano altri ecosistemi neotropicali”, scrivono i ricercatori, mentre le popolazioni di Amazzone di Santo Domingo e parrocchetto di Hispaniola presenti nelle città erano rispettivamente tre e sei volte superiori rispetto a quelle negli habitat naturali.
“Le persone hanno indicato la caccia a fini alimentari e per ridurre il danno alle colture come cause per la diminuzione della popolazione di pappagalli e un vigoroso commercio illegale di pappagalli (131 individui registrati, di cui il 75% catturati molto recentemente), per lo più catturati da aree protette dove risiedono le ultime piccole popolazioni selvatiche”, scrivono Luna e il team.
“Abbiamo osservato i pappagalli foraggiare su 19 specie di piante provenienti da 11 famiglie, disperdendo i frutti di 14 specie portandoli nei loro becchi e consumandoli appollaiati su lontanissimi alberi. Hanno scartato i semi maturi non danneggiati, con il potenziale di germinare, nel 99,5% dei casi, e le distanze minime di dispersione sono variate da 8 a 155 [metri].”
Se queste specie e il ruolo ecologico che ricoprono dovessero essere scomparire del tutto dagli habitat naturali, continuando a sopravvivere solo nelle aree urbane, si potrebbero avere “effetti a lungo termine e inaspettati sugli ecosistemi”, aggiungono i ricercatori. “Il nostro esempio dimostra come due città potrebbero presto diventare gli ultimi rifugi per due pappagalli endemici se dovesse continuare il sovrasfruttamento, nel qual caso il loro trascurato ruolo di dispersori di semi sarebbe completamente perso in natura. L’estinzione funzionale di queste specie potrebbe influire fortemente sulle comunità di vegetazione in un ambiente insulare dove le specie di dispersione dei semi sono naturalmente scarse”.
Luna e il suo team sostengono che mentre i piani di conservazione devono prendere in considerazione le popolazioni urbane di specie minacciate, “sono necessari maggiori sforzi per ripristinare le loro popolazioni in habitat naturali per conservarne le funzioni ecologiche”.